La Polvere Magica
Tanti anni fa, alle spalle della ‘Veneranda Fabbrica del Duomo’ di Milano, sorgeva un fremente borgo fatto di centinaia di baracche e tettoie, che ospitava tremilacinquecento tra capimastri e muratori, fabbri, falegnami, scalpellini, vetrai e scultori, giunti da tutta Europa per dare aiuto nella lavorazione del marmo di Candoglia con cui si stava costruendo l’imponente cattedrale. Di fianco al grande cantiere dedicato alla lavorazione del marmo ne sorgeva uno più piccolo dove veniva lavorato il vetro. I ‘gioielli’ della cattedrale erano, infatti, le enormi vetrate colorate che ne decoravano le pareti. La luce che filtrava attraverso la rappresentazione delle storie dei Vangeli era agli occhi dei fedeli la massima espressione del divino.
La costruzione delle vetrate era stata commissionata in parti uguali a due famosi mastri vetrai giunti da terre lontane. Valerio Perfundavalle, di scuola Fiamminga, con al seguito la figliola Caterina e il giovane apprendista Marco, fidanzato con la bella giovane, e Antoine Perrier, ricco mastro vetraio francese giunto a Milano insieme a decine di apprendisti e operai. Ci volle poco tempo però perché gli equilibri all’interno della fabbrica cambiassero.
Oltre ad avere più dipendenze e molto denaro a disposizione, mastro Perrier possedeva una misteriosa polvere di colore giallo in grado di rendere magiche le vetrate. Aggiunta al vetro durante la lavorazione lo trasformava in oro purissimo.
Mastro Valerio aveva provato molte e molte volte a riprodurre lo stesso colore unendo alla pasta di vetro ogni tipo di polvere, ma nonostante i suoi vetri fossero molto belli non era mai riuscito a ottenere un risultato che minimamente si avvicinasse a quello del concorrente. Anzi, ogni volta che mastro Valerio faceva un nuovo tentativo, mastro Perrier passava dal cantiere fiammingo, guardava con sufficienza il risultato ottenuto e facendo notare come il nuovo vetro avesse un colore piatto o sbiadito domandava ironicamente: “Non hai mai pensato di usare il tuo vetro per fare le finestre delle case?”. Poi, dopo aver commentato l’insuccesso del collega posava gli occhi sulla bella Caterina guardandola con insistenza.
Tanti anni fa, alle spalle della ‘Veneranda Fabbrica del Duomo’ di Milano, sorgeva un fremente borgo fatto di centinaia di baracche e tettoie, che ospitava tremilacinquecento tra capimastri e muratori, fabbri, falegnami, scalpellini, vetrai e scultori, giunti da tutta Europa per dare aiuto nella lavorazione del marmo di Candoglia con cui si stava costruendo l’imponente cattedrale. Di fianco al grande cantiere dedicato alla lavorazione del marmo ne sorgeva uno più piccolo dove veniva lavorato il vetro. I ‘gioielli’ della cattedrale erano, infatti, le enormi vetrate colorate che ne decoravano le pareti. La luce che filtrava attraverso la rappresentazione delle storie dei Vangeli era agli occhi dei fedeli la massima espressione del divino.
La costruzione delle vetrate era stata commissionata in parti uguali a due famosi mastri vetrai giunti da terre lontane. Valerio Perfundavalle, di scuola Fiamminga, con al seguito la figliola Caterina e il giovane apprendista Marco, fidanzato con la bella giovane, e Antoine Perrier, ricco mastro vetraio francese giunto a Milano insieme a decine di apprendisti e operai. Ci volle poco tempo però perché gli equilibri all’interno della fabbrica cambiassero.
Oltre ad avere più dipendenze e molto denaro a disposizione, mastro Perrier possedeva una misteriosa polvere di colore giallo in grado di rendere magiche le vetrate. Aggiunta al vetro durante la lavorazione lo trasformava in oro purissimo.
Mastro Valerio aveva provato molte e molte volte a riprodurre lo stesso colore unendo alla pasta di vetro ogni tipo di polvere, ma nonostante i suoi vetri fossero molto belli non era mai riuscito a ottenere un risultato che minimamente si avvicinasse a quello del concorrente. Anzi, ogni volta che mastro Valerio faceva un nuovo tentativo, mastro Perrier passava dal cantiere fiammingo, guardava con sufficienza il risultato ottenuto e facendo notare come il nuovo vetro avesse un colore piatto o sbiadito domandava ironicamente: “Non hai mai pensato di usare il tuo vetro per fare le finestre delle case?”. Poi, dopo aver commentato l’insuccesso del collega posava gli occhi sulla bella Caterina guardandola con insistenza.
Giorno dopo giorno, nonostante mastro Valerio lavorasse
duramente insieme al suo apprendista, tutte le commissioni
passarono al maestro Francese. Valerio capì che presto avrebbe
perduto anche l’ultima commissione rimastagli e con essa tutti
suoi averi. Non gli restò quindi che recarsi presso la ricca
dimora del concorrente.
Dopo avere atteso a lungo sull’uscio, finalmente fu fatto accomodare al cospetto del maestro Francese. “Mastro Perrier”, disse “sono qui per pregarti di lasciarmi terminare almeno l’ultima vetrata che mi è stata commissionata. Ho investito tutti i miei averi in questo lavoro e perdendolo cadrei in disgrazia”.
Mastro Perrier, dopo aver ascoltato la richiesta del maestro Fiammingo, invece di rispondere alla domanda gli chiese se la giovane figliola fosse ancora ‘disponibile’.
Mastro Valerio se ne andò senza aggiungere parola.
Il giorno successivo il vetraio Fiammingo fu informato dell’imminente licenziamento. Con sua sorpresa lo stesso giorno mastro Perrier si presentò alla sua baracca. “Caro Valerio, mi hanno detto che molto presto ci lascerai” disse con tono ironico, e proseguì: “ho una proposta da farti”. Posò quindi sul tavolo una sacca di pelle. “Lì dentro” disse “ci sono dieci pugni della polvere magica che trasforma il vetro in oro. Se mi concederai la mano di tua figlia potrai tenerlo, e grazie a esso mantenere il tuo lavoro”.
Valerio fissò a lungo la sacca.
La mattina successiva il maestro Fiammingo si recò nuovamente alla dimora del concorrente. Non appena il maestro Francese gli si parò di fronte, gettò a terra il sacco di polvere magica e con parole che non lasciarono replica disse: “Domenica prossima Caterina sposerà il mio apprendista, Marco”.
Dopo avere atteso a lungo sull’uscio, finalmente fu fatto accomodare al cospetto del maestro Francese. “Mastro Perrier”, disse “sono qui per pregarti di lasciarmi terminare almeno l’ultima vetrata che mi è stata commissionata. Ho investito tutti i miei averi in questo lavoro e perdendolo cadrei in disgrazia”.
Mastro Perrier, dopo aver ascoltato la richiesta del maestro Fiammingo, invece di rispondere alla domanda gli chiese se la giovane figliola fosse ancora ‘disponibile’.
Mastro Valerio se ne andò senza aggiungere parola.
Il giorno successivo il vetraio Fiammingo fu informato dell’imminente licenziamento. Con sua sorpresa lo stesso giorno mastro Perrier si presentò alla sua baracca. “Caro Valerio, mi hanno detto che molto presto ci lascerai” disse con tono ironico, e proseguì: “ho una proposta da farti”. Posò quindi sul tavolo una sacca di pelle. “Lì dentro” disse “ci sono dieci pugni della polvere magica che trasforma il vetro in oro. Se mi concederai la mano di tua figlia potrai tenerlo, e grazie a esso mantenere il tuo lavoro”.
Valerio fissò a lungo la sacca.
La mattina successiva il maestro Fiammingo si recò nuovamente alla dimora del concorrente. Non appena il maestro Francese gli si parò di fronte, gettò a terra il sacco di polvere magica e con parole che non lasciarono replica disse: “Domenica prossima Caterina sposerà il mio apprendista, Marco”.
Con gli ultimi averi rimasti, Valerio organizzò una grande festa
per celebrare il matrimonio della figlia. Il giorno delle nozze,
mentre tutti gli invitati stavano presenziando la messa, un
figuro incappucciato si intrufolò nelle cucine dove un grande
risotto stava mantecando in attesa di essere servito. Non appena
il cuoco si allontanò dal paiolo, la figura misteriosa tirò fuori
dalla tasca una sacca. “Avresti dovuto accettare questa
polvere” sussurrò tra sè e sè “ora invece morirete tutti”, e ne
versò il contenuto nel risotto. Era l’8 settembre del 1574 e
quella che doveva essere una terribile vendetta si rivelò una
bellissima sorpresa per la giovane coppia di sposi. Il risotto si
presentò in un’inaspettata ma splendida livrea color giallo-oro
e invece di avvelenare la coppia di sposi e tutti i commensali fu
tanto gradito che neppure un chicco ne avanzò.
Per anni i cuochi di Milano cercarono di riprodurre, ma senza successo, il colore e il profumo di quel fantastico risotto. Solo molti anni dopo, alla morte di mastro Perrier, fu scoperto il segreto della polvere magica. Pistilli di zafferano essiccati.
Da allora nelle case e nei ristoranti dei Milanesi fu d’uso aggiungere al risotto un pizzico di zafferano per riprodurre la brillante livrea che era stata per la prima volta presentata alla festa di nozze della bellissima Caterina.
Note
Il ‘Risotto alla Milanese’ è uno dei piatti più noti della tradizione culinaria meneghina. La leggenda fa risalire la sua origine al 1574 e ne attribuisce l’involontario merito a un giovane apprendista vetraio di origini Fiamminghe che stava lavorando presso la ‘Veneranda Fabbrica del Duomo’. Costui veniva chiamato bonariamente ‘Zafferano’ dai suoi colleghi per la sua abilità nel creare i colori delle vetrate aggiungendo al loro impasto un pizzico della gialla polvere. Il giovane, nel giorno delle nozze della figlia del suo maestro, tale Valerio Perfunfavalle, pensò bene di fare uno scherzo agli invitati aggiungendo, di nascosto, al risotto un pizzico di zafferano.
Per anni i cuochi di Milano cercarono di riprodurre, ma senza successo, il colore e il profumo di quel fantastico risotto. Solo molti anni dopo, alla morte di mastro Perrier, fu scoperto il segreto della polvere magica. Pistilli di zafferano essiccati.
Da allora nelle case e nei ristoranti dei Milanesi fu d’uso aggiungere al risotto un pizzico di zafferano per riprodurre la brillante livrea che era stata per la prima volta presentata alla festa di nozze della bellissima Caterina.
Note
Il ‘Risotto alla Milanese’ è uno dei piatti più noti della tradizione culinaria meneghina. La leggenda fa risalire la sua origine al 1574 e ne attribuisce l’involontario merito a un giovane apprendista vetraio di origini Fiamminghe che stava lavorando presso la ‘Veneranda Fabbrica del Duomo’. Costui veniva chiamato bonariamente ‘Zafferano’ dai suoi colleghi per la sua abilità nel creare i colori delle vetrate aggiungendo al loro impasto un pizzico della gialla polvere. Il giovane, nel giorno delle nozze della figlia del suo maestro, tale Valerio Perfunfavalle, pensò bene di fare uno scherzo agli invitati aggiungendo, di nascosto, al risotto un pizzico di zafferano.
Un’altra versione della leggenda vuole che il giovane
apprendista aggiunse invece lo zafferano al risotto con
l’intenzione di rovinare la festa di nozze, perchè innamorato
anche lui della bella fanciulla. Un’altra ancora sostiene che lo
zafferano fosse stato aggiunto al risotto per riprodurre il
colore oro che nelle case dei nobili Fiamminghi si otteneva
appoggiando delle vere e proprie lamine d’oro sopra le
pietanze in occasione delle feste.
Tratto da "Il Granducato di Tiramisù e altri racconti gustosi" di L. Livraghi e F. Brambilla
Tratto da "Il Granducato di Tiramisù e altri racconti gustosi" di L. Livraghi e F. Brambilla
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